La dicono perduta by Edoardo Zambelli

La dicono perduta by Edoardo Zambelli

autore:Edoardo Zambelli [Edoardo Zambelli]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Zolfo Editore
pubblicato: 2024-02-14T23:00:00+00:00


6.

Occhi chiusi

L’auto nera non c’è più. Viviana la cerca nello specchietto, nella strada che se ne va via rapida alle sue spalle. L’ha vista, quando è uscita a Sant’Agata di Militello per far benzina - al casello non ha pagato, per la fretta di andare, di non farsi prendere -, poi l’ha persa. Viviana non voleva ma fermarsi è stato necessario, la spia rossa della riserva aveva iniziato a lampeggiare e rischiava di non arrivare più, di trovarsi ferma in mezzo al niente, sotto il sole. Può essere che sia più indietro, l’auto nera, che si nasconda dietro altre auto, dietro la velocità degli altri? O magari, semplicemente, più strada macina e più il potere di quelli che la seguono (e del demonio che li manda) si indebolisce? Da dove si trova adesso alla piramide non sa quanto ancora ci vuole, ma immagina poco - quaranta minuti, un’ora se va senza correre -, il più è fatto. Pesta forte sull’acceleratore. È bello, si dice, avere un posto dove andare. Per una volta, un posto che sia quello giusto, quello dove, forse, le cose possono mettersi al meglio. E dopo la piramide? Non sa. Spiegazioni dovrà darne, di sicuro, perché magari (sicuramente) Daniele si preoccuperà, se torna a casa e non la trova, se non trova Gioele. Se lo immagina, Daniele, morto di paura, arrabbiato anche, maledire lei e l’averla lasciata sola con il bambino. Ma non le importa, perché potrà consegnargli una verità nuova e bellissima, dirgli: adesso siamo salvi, tutti e tre. Ho fatto quello che si doveva, Dio è con noi e il male non ci può più toccare. Soprattutto Gioele, soprattutto lui sarà salvo.

Si volta un attimo e lo guarda, Gioele. Ha il faccino annoiato e zitto, gli occhi al finestrino. Non capisce, non può capire. Vorrebbe guardare la tv, pensa Viviana, correre, dire le sue parole sbagliate e sempre contente. Le piacerebbe vedergli un sorriso, però, saperlo complice della sua felicità, di quello che sta facendo per lui. Possibile non si renda conto? Più il tempo passa, più i chilometri si ammucchiano (quanti? non importa, sono quelli che servono, che ancora non bastano), e più Viviana si sente la rabbia nei pensieri, l’insofferenza per quel piccolo corpo indifferente che le sta di fianco e non parla, lui che parla sempre e in silenzio non ci sa stare. Tutto a rovescio: sembra triste, sembra disapprovare.

«Che hai?», domanda.

E gli carezza la testa, i capelli puliti e morbidi (trova nei polpastrelli il ricordo di quando glieli ha lavati, ieri sera, prima di dormire, ciuffetti umidi che le sfioravano la pelle come minuscole alghe). Gioele però non risponde, nemmeno si volta, sta con lo sguardo al paesaggio di mare e cemento che corre di fuori. Con le dita Viviana vorrebbe stringergli forte i capelli, fargli sentire le unghie nella pelle del cranio, prendersi attenzione con la forza. Si trattiene, di nuovo domanda:

«Che hai?»

Finalmente Gioele si volta, ma tiene gli occhi chiusi.

«Niente, mamma», dice.

«Non è vero».

«Dove stiamo andando?»

«In un posto bello».

«Non è vero, mamma».



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